Divise sotto l’aspetto sportivo, che oggi conta zero di fronte all’emergenza sanitaria nella quale versa il paese, ma unite nel dolore di due province falcidiate dall’epidemia di coronavirus. Brescia e Bergamo si riscoprono vicine più che mai in quella che da secoli è una rivalità storica. Non solo sul campo di calcio ma anche nell’industria e nel modo di vivere.
Due culture simile che non si sono mai intersecate ma al contrario si sono sempre scontrare. Due poli opposti di una calamita che ora ha trovato la giusta formula per farle incontrare.
Storicamente se le rivalità storiche tra Brescia e Bergamo nacquero e si cementarono nel Medioevo, è nei successivi secoli che esse si rinnovarono continuamente. Non fu solo una questione “storica”, né solamente “territoriale”. L’odio tra le città va inquadrato nel contesto regionale lombardo.
Entrambe le città, dopo Milano, erano e sono i centri vitali più produttivi della Lombardia. Entrambe le province hanno una superficie assai ampia e con connotazioni geografiche simili: montagne a nord, pianure a sud, zone fluviali, lacustri e agricole. La geografia ha fatto sì che a Bergamo e a Brescia si sviluppassero economie concorrenti e non complementari.
Oggi, nell’emergenza, non c’è maglia del Brescia o dell’Atalanta che tenga, non ci sono colori biancoazzurro o neroazzurro a dominare, non c’è un giocatore simbolo, un gol, una giocata, vittoria o sconfitta che tenga: oggi Brescia e Bergamo sono unite, un unica squadra a combattere contro il Coronavirus.
Insieme, nel dolore delle morti dei propri concittadini, a lottare per sopravvivere e per tornare presto ad essere rivali nella vita quotidiana come su un campo di calcio. Domani, oggi ancora no. Oggi Brescia e Bergamo sono una cosa sola: due province ferite da una epidemia incontrollata.
I commenti sono chiusi, ma riferimenti e pingbacks sono aperti.