Nemmeno ero maggiorenne, allora. Di anni ne avevo 17 ed ero ancora uno studente innamorato del calcio. Il sogno di diventare un calciatore, dopo sette anni di Settore Giovanile delle rondinelle era svanito,ma non per questo la passione per quei colori.
Il Brescia era quello di Baggio, Toni, dei gemelli Filippini e di Mazzone, una squadra spaziale per chi aveva quasi sempre vissuto epoche altalenanti, salvezze sofferte e sogni infranti. In quel Brescia giocava un ragazzo che avevo visto impegnato dal vivo quando facevo il raccattapalle al Rigamonti. Si chiamava Vittorio Mero.
Vittorio era il primo nel riscaldamento e nell’immediato post partita a sorridere e sorriderci. Aveva sempre una parola positiva per noi giovani biancazzurri. A pensarci bene anche tra i più generosi. Qualche ex compagno avrà ancora a casa i suoi pantaloncini e forse qualche maglia. Lui era così, tra i più gentili ad omaggiarci di gadget e cimeli da mettere in bacheca.
Quel maledetto 23 gennaio 2002 non lo potrò mai dimenticare. Il Brescia giocava a Parma la semifinale di Coppa Italia ed io, come sempre, incollato a radio e tv. Allora non erano ancora attivi i social ma si viveva di sms. Uno di questi, inviato da un ex compagno di squadra, mi dava la terribile notizia che di li a poco divenne pubblica tanto da sospendere il match del Tardini gettando tutti i tifosi nello sconforto più totale.
I giorni successivi furono davvero difficili. La sensazione che mi assaliva era quella d’aver perso una persona alla quale tenevo e con la quale, seppur marginalmente, avevo condiviso tante domeniche allo stadio (e anche negli spogliatoi visto che una volta chi faceva il raccattapalle entrava dall’ingresso dei giocatori).
Per questo chiesi ai miei genitori di saltare due ore di scuola per assistere al funerale. Rimasi fuori dalla chiesa, era tutto pieno, tutto avvolto in un silenzio spettrale. Faticavo ad immaginare l’addio ad un calciatore da sempre considerato per me immortale.
Vittorio Mero è stato questo per me e per altri giovani aspiranti calciatori. Un modello, un’icona, un punto di riferimento di chi con il lavoro e la passione era diventato giocatore. Ce l’aveva fatta! Per quello la sua perdita, ancora a distanza di anni, rappresenta una ferita aperta, ingiusta e inspiegabile.
Ovunque tu sia caro Vittorio, sappi che ci manchi e che hai lasciato in me ma come in altri tantissimi tifosi un ricordo bellissimo.